Quando si parla di musicoterapia, vi fanno molte domande per comprendere innanzitutto cosa sia… così iniziamo col dare una definizione “standard” della Musicoterapia in quanto vi sono definizioni diverse a seconda delle differenti correnti di pensiero, delle personali esperienze, della formazione ricevuta e degli studi svolti nei vari campi specifici (medicina, psicologia, pedagogia ed ovviamente musicale/strumentale).
Definizione:
Si tratta di un processo interpersonale in cui il terapeuta usa la musica e tutti i suoi aspetti – fisici, emotivi, mentali, sociali, estetici e spirituali – come strumento di comunicazione non verbale, per intervenire a livello educativo, riabilitativo, terapeutico e preventivo, in una varietà di condizioni dalla “normalità” a quelle patologiche e para-fisiologiche. Si tratta in sostanza di aiutare la persona a migliorare, recuperare o mantenere un certo tipo di “salute” (nelle vari e accezioni). Nella musicoterapia anche i rumori partecipano alla creazione di un repertorio acustico. Ogni trattamento viene personalizzato alla persona e al gruppo nella sua individualità e in quegli aspetti caratterizzanti al fine di facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione mentale di processi logici e soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. Obiettivo finale è raggiungere un’integrazione intra- e interpersonale per migliorare la qualità della vita.
Esistono ben 5 diversi modelli di Musicoterapia riconosciuti al livello scientifico fin dal 1999, chi parte da basi di tipo psicoanalitico, chi presenta una matrice educativo-pedagogica, chi fa uso simbolico della musica in una musicoterapia analitica, chi si avvicina alla musicoterapia comportamentale, ed infine quella rivolta alla musica quale potenzialità evocativa. Potrei dire che vi sia un’ampia scelta, e così la mia proposta metodologica non chiude le porte a nessun modello, ma cerca di indagare quale sia il percorso più efficace per la persona o il gruppo di persone che mi trovo di fronte. Si tratta di un lavoro “personalizzato” dove la musica si trasforma in un mezzo per lo sviluppo globale del soggetto a livello: sensoriale, emotivo-affettivo, cognitivo, corporeo, comunicativo-relazionale e sociale.
La persona, all’interno del contesto musicoterapico, viene considerata parte attiva e non semplice uditore; il rapporto di fiducia e rispetto assume una posizione centrale nel trattamento, vivendo in un continuo scambio reciproco tra paziente e musicoterapeuta che adatta e personalizza la tecnica volta per volta.
Come funziona?
Avvicinandoci all’attività Musicoterapica, la prima domanda che ci si pone è come funziona? Si parte da una fase conoscitiva dell’utente per poi individuare quali possano essere gli obiettivi perseguibili e quali modalità rispondano meglio alle caratteristiche del paziente. Si costruisce allora un progetto specifico che conterrà: uno strumentario musicale, una tempistica, si individuano gli spazi adeguati, gli obiettivi primari e secondarie ed una proposta di trattamento più vicina possibile al destinatario con una relativa documentazione e degli indici di valutazione. È anche importante sottolineare la ricchezza e l’alta professionalità di un percorso creato all’interno di una équipe di lavoro; il poter lavorare con altri professionisti (neuropsichiatra infantile, logopedista, psicomotricista, educatore, ecc.) consente avere più aderenza allo sviluppo globale della persona. Preparato quindi il tutto darà inizio alle danze… a volte anche nel vero senso delle parole.
Quale utenza? A chi è rivolta?
Ma a chi si rivolge il percorso musicoterapico? Possono usufruirne solo chi è affetto da una patologia fisica, psichica o sociale? Oppure possono usufruirne anche persone normo dotate? A quale fascia di età può essere svolta?
Proverò a rispondere, partendo dall’idea che gli effetti della musica possono rivelarsi in modo positivo in ognuno di noi a prescindere dall’età, e dal nostro stato di salute psicofisica e mentale. È naturale che il lavoro svolto precocemente fin dai primi momenti nell’età dello sviluppo possa offrire maggiori risultati, ma non mi scoraggerei sulla possibilità di avere liete sorprese anche successivamente, perché l’uomo è in continuo movimento verso la propria realizzazione su più fronti. Varie e numerose sono le applicazioni musicoterapiche, l’elenco sotto riportato può risultare un insieme di parole “vuote” nel momento in cui ci limitiamo a semplici etichette da attribuire o attribuirci. Vi sono situazioni più o meno gravi ma ogni caso è unico proprio per la specificità dell’essere umano e del contesto in cui vive. Pertanto vorrei suggerire di dare una letta a queste parole con occhi e cuore capaci di vedere e sentire oltre…
- autismo,
- psicosi,
- ritardo mentale,
- disabilità motorie,
- morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson, demenze, adulti istituzionalizzati (anziani),
- disturbi dell’umore,
- sordità,
- cecità,
- sindromi,
- stati di demotivazione,
- stress,
- mancanza di autostima,
- coma,
- insonnia,
- difficoltà di comunicazione ; inter-relazionali,
- malati terminali,
- disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione e della memoria,
- difficoltà psico-emotive,
- sviluppo e miglioramento della psicomotricità,
- normodotati,
- depressione e attacchi di panico,
- gestanti – accompagnamento alla nascita,
Ma chi esercita tale disciplina? Quale curriculum è necessario? Bisogna essere musicisti, dei medici, dei psicologi? Oppure bisogna essere dei “tuttologi”?
Per agire nel rispetto della disciplina e prima ancora nel rispetto della persona che avvia un ciclo di sedute, ponendosi nelle mani – e meglio ancora nei suoni – del musicoterapeuta, servirebbe da parte di quest’ultimo, possedere diversi tipi di conoscenza: buone capacità di improvvisazione con la musica e con gli strumenti di vario genere, conoscenze pedagogiche, psicologiche, mediche, musicali e acustiche.
Sicuramente divenire dei tuttologi non è semplice e nemmeno conveniente, perché è proprio nel dialogo con l’altro “specialista” o meglio ancora con una équipe che si riesce a toccare la più alta professionalità. Nel confronto, nel dialogo, nel condividere si cresce sia come terapeuta che come persona. Una persona capace di sviluppare quella sensibilità alla vita, condizione per la quale il musicoterapeuta diviene lui stesso primo e vero strumento musicale nella relazione umana.